2010 by Matthew Christopher of Abandoned America |
Ognuno ha le
sue prigioni
ognuno ci
convive
ma quando le
pareti cominciano a
restringersi
le facce
diventano anonime
quando lo
specchio comincia a darti del
tu
quando i
marciapiedi ti provocano
vertigini
e la strada
sembra il tuo tappeto rosso
metti insieme
il tuo bagaglio
riempilo di
ricordi
speranze
parole
storie vissute
e storie da vivere
riempilo di
emozioni
musiche
illusioni d’epoca
domande e
risposte
trovati un
amico e comincia la
condivisione
vai a caso
lascia le
tue lacrime sul cuscino
incontrati con
la vita
scontrati con
il dolore
[…]
Vincenzo
Costantino – Le 100 Città
Accade che
si avverte uno stato di malessere non ben definito. E’ un rumorino di
sottofondo, come il parlottìo dei vicini di tavolo al bar che si intrufola nell’audio
della nostra telefonata quel tanto da renderla un po’ confusa ma non abbastanza
da impedirci di sentire cosa ci viene detto. La vita di tutti i giorni continua.
Capitano momenti, frazioni di nanosecondi di esistenza in cui il rumore di
sottofondo diventa una voce un po’ più nitida: appena prima di addormentarci,
nelle ultime pagine di un romanzo che ci ha fatti sentire coinvolti, nel buio
del cinema di fronte ad un film che ci emoziona.
Non accade nulla di eclatante: nulla di troppo bello, nulla di troppo brutto. O, se accade, ci sfiora appena. E’ tutto molto da 6 politico in matematica alla fine del semestre. Che, poiché non è un 5 e né tantomeno un 3, dovrebbe andare bene, no? Eppure.
Qualche volta ci mettiamo addirittura a fare un bizzarro resoconto della nostra quotidianità, per dimostrare a noi stessi che ci stiamo facendo delle paturnie inesistenti:
Lavoro? C’è.
Famiglia? Resiste.
Coppia? Galleggia.
Sesso? Calendarizzato.
Salute? Conforme all’età anagrafica. Forse un po’ il colesterolo che, ma sai, le feste.
Amicizie? Stanno.
Svago? Sopravvalutato.
Vacanze? Agosto.
Spiritualità? Cresima nell’89.
Bon: abbiamo tutto. Di che ci lamentiamo? Non siamo mai contenti!
In genere a questo punto arriva il lampo di genio, la spiegazione che va bene per tutto: "è solo un momento, passerà".
Per le femminucce, la sempreverde "sarà il ciclo". Se si è in menopausa, "sarà la menopausa".
Se uomo, "devo scopare di più". Se si scopa, "è la crisi di mezza età".
Non accade nulla di eclatante: nulla di troppo bello, nulla di troppo brutto. O, se accade, ci sfiora appena. E’ tutto molto da 6 politico in matematica alla fine del semestre. Che, poiché non è un 5 e né tantomeno un 3, dovrebbe andare bene, no? Eppure.
Qualche volta ci mettiamo addirittura a fare un bizzarro resoconto della nostra quotidianità, per dimostrare a noi stessi che ci stiamo facendo delle paturnie inesistenti:
Lavoro? C’è.
Famiglia? Resiste.
Coppia? Galleggia.
Sesso? Calendarizzato.
Salute? Conforme all’età anagrafica. Forse un po’ il colesterolo che, ma sai, le feste.
Amicizie? Stanno.
Svago? Sopravvalutato.
Vacanze? Agosto.
Spiritualità? Cresima nell’89.
Bon: abbiamo tutto. Di che ci lamentiamo? Non siamo mai contenti!
In genere a questo punto arriva il lampo di genio, la spiegazione che va bene per tutto: "è solo un momento, passerà".
Per le femminucce, la sempreverde "sarà il ciclo". Se si è in menopausa, "sarà la menopausa".
Se uomo, "devo scopare di più". Se si scopa, "è la crisi di mezza età".
E via così,
finché non accade qualcosa di grosso. Un evento esterno, che ci costringa a
ribaltare almeno uno degli aspetti della nostra esistenza (il partner ci
lascia, perdiamo il lavoro, muore qualcuno di molto caro, ecc…), o un evento
interno, che viene caricato di tutta la colpa del nostro malessere (un disturbo
fisico mai avuto, una malattia organica, o dei sintomi emotivi: uno stato
depressivo, attacchi di ansia, attacchi di panico, insonnia; o semplicemente la
soglia di tolleranza verso ciò che non va si abbassa), e che si cerca di
cancellare con vari espedienti in nome del sogno del Tornare Come Prima.
Errore: il problema non è iniziato con lo sfasciarsi della
coppia o con gli attacchi di ansia in metropolitana. Il problema è iniziato molto
tempo prima, ma non è stato ascoltato. La colpa non è di quello/a stronzo/a che
ci ha cornificati né dell’ormai mitico stress, la colpa è di tante piccole cose
che nel tempo si sono accumulate e che si sono minimizzate, ignorate, coperte
ecc.
In “L’Anno della Lepre” di Arto Paasilinna, il protagonista,
il giornalista finlandese Vatanen, prova tutte queste sensazioni. Subito dalle
prime righe del romanzo, lo conosciamo come un uomo immerso in una triste melma
di piattume esistenziale:<<
Sull’automobile viaggiavano due uomini depressi. Il sole al tramonto, battendo
sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi. Era l’estate di San
Giovanni. Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il
loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla
bellezza della sera.
Erano un giornalista e un fotografo in viaggio di lavoro, due persone ciniche, infelici. Prossimi alla quarantina, erano ormai lontani dalle illusioni e dai sogni della gioventù, che non erano mai riusciti a realizzare. Sposati, delusi, traditi, entrambi con un inizio d’ulcera e una quotidiana reazione di problemi di ogni genere con cui fare i conti. >>
Erano un giornalista e un fotografo in viaggio di lavoro, due persone ciniche, infelici. Prossimi alla quarantina, erano ormai lontani dalle illusioni e dai sogni della gioventù, che non erano mai riusciti a realizzare. Sposati, delusi, traditi, entrambi con un inizio d’ulcera e una quotidiana reazione di problemi di ogni genere con cui fare i conti. >>
Succede che
l’auto investe una lepre. I due si fermano, scendono per cercarla, ma, mentre
il fotografo rimane sulla strada ed è già pronto a ripartire di fretta, Vatanen
entra in una radura e si allontana verso una foresta finché non trova l’animale
ferito, sparendo dalla vista del compare. Ignorando i richiami del fotografo,
Vatanen medica alla bell’e meglio la lepre e cerca di calmarla accarezzandola.
Il fotografo perde definitivamente la pazienza non ricevendo risposta e riparte
lasciando in mezzo alla radura Vatanen che, per nulla agitato, e rendendosi
conto di non avere nessuna voglia di trovare il modo di arrivare ad Heinola
(dove erano diretti in auto) per i fatti suoi, semplicemente raccoglie la lepre
e si incammina verso la foresta. Trascorre la notte in un fienile e al suo
risveglio, vaglia le possibilità: avvisare la moglie ad Helsinki? Contattare il
suo capo in ufficio per avvisare che sta bene?
<< Vatanen pensò a sua moglie, a Helsinki, e si sentì male.
Vatanen non amava sua moglie. […] Appena sposati, sua moglie aveva preso energicamente in mano l’arredamento della loro casa, del loro nido. […] Tutto, in quell’appartamento, faceva a pugni. Specchio fedele del matrimonio di Vatanen.
[…]Forse sarebbe meglio tornare a Helsinki, si disse Vatanen. Chissà cosa avranno pensato in ufficio della sua scomparsa.
Però, che ufficio, e che lavoro il suo! […] Quando era più giovane, Vatanen era felice di fare l’inviato di un grande giornale […] Gli pareva, allora, di fare un buon lavoro, certi abusi, almeno, diventavano di pubblico dominio. Ma ormai, con il passare degli anni, non si illudeva più di fare qualcosa di utile. Si limitava a fare quello che che gli chiedevano, senza neanche cercare di esprimere dubbi o critiche. I suoi colleghi, frustrati e cinici, facevano come lui.
[…] Vatanen, per la verità, prendeva un discreto stipendio, ma era sempre a corto di quattrini […]La barca però se l’era fatta, firmando cambiali. Al di fuori di quella, Vatanen non aveva altri passatempi. Sua moglie parlava qualche volta di andare a teatro, ma Vatanen non amava uscire con lei, già la sua voce l’esasperava.
Vatanen sospirò.
La luce del mattino d’estate si faceva sempre più chiara, ma quelle sue malinconiche riflessioni gli impedivano di gioirne. >>
L’ingranaggio ben oliato dell’esistenza non funziona più: non si riescono più a fare le stesse cose di prima, si sta male, improvvisamente il lavoro fa schifo, la coppia vacilla, il sesso manco si sa più cos’è, la famiglia rompe, gli amici stanno sulle palle, lo svago annoia.
<< Vatanen pensò a sua moglie, a Helsinki, e si sentì male.
Vatanen non amava sua moglie. […] Appena sposati, sua moglie aveva preso energicamente in mano l’arredamento della loro casa, del loro nido. […] Tutto, in quell’appartamento, faceva a pugni. Specchio fedele del matrimonio di Vatanen.
[…]Forse sarebbe meglio tornare a Helsinki, si disse Vatanen. Chissà cosa avranno pensato in ufficio della sua scomparsa.
Però, che ufficio, e che lavoro il suo! […] Quando era più giovane, Vatanen era felice di fare l’inviato di un grande giornale […] Gli pareva, allora, di fare un buon lavoro, certi abusi, almeno, diventavano di pubblico dominio. Ma ormai, con il passare degli anni, non si illudeva più di fare qualcosa di utile. Si limitava a fare quello che che gli chiedevano, senza neanche cercare di esprimere dubbi o critiche. I suoi colleghi, frustrati e cinici, facevano come lui.
[…] Vatanen, per la verità, prendeva un discreto stipendio, ma era sempre a corto di quattrini […]La barca però se l’era fatta, firmando cambiali. Al di fuori di quella, Vatanen non aveva altri passatempi. Sua moglie parlava qualche volta di andare a teatro, ma Vatanen non amava uscire con lei, già la sua voce l’esasperava.
Vatanen sospirò.
La luce del mattino d’estate si faceva sempre più chiara, ma quelle sue malinconiche riflessioni gli impedivano di gioirne. >>
L’ingranaggio ben oliato dell’esistenza non funziona più: non si riescono più a fare le stesse cose di prima, si sta male, improvvisamente il lavoro fa schifo, la coppia vacilla, il sesso manco si sa più cos’è, la famiglia rompe, gli amici stanno sulle palle, lo svago annoia.
E allora, è Crisi.
Com’è potuto accadere tutto questo? E, mentre accadeva, noi,
dove stavamo?
Senza riguardo, senza pudore né pietà,
m'han fabbricato intorno erte, solide mura.
m'han fabbricato intorno erte, solide mura.
E ora mi dispero, inerte, qua.
Altro non penso: tutto mi rode questa dura sorte.
Altro non penso: tutto mi rode questa dura sorte.
Avevo da fare tante cose là fuori.
Ma quando fabbricavano fui così assente!
Non ho sentito mai né voci né rumori.
M'hanno escluso dal mondo inavvertitamente.
M'hanno escluso dal mondo inavvertitamente.
Constantino Kavafis
Abbiamo detto che in genere quindi deve subentrare un
qualche evento esterno o interno (o esterno che risuoni all’interno?) fortemente
destabilizzante perché ci si accorga che qualcosa non va. Finalmente, l’illusione
di un equilibrio è spezzata.
Nel caso di Vatanen, è l’investimento della lepre. Dal momento in cui l’uomo decide di inoltrarsi con l’animale nella foresta, decide anche di non fare più ritorno alla vita di prima. Inizia a vagare per il Paese, vive avventure divertenti, strambe o pericolose e la sua vita muta totalmente. Non sappiamo cosa sia avvenuto nella sua mente nell’istante in cui ha raccolto la lepre ferita e ha scelto di non risalire sull’auto del suo compagno di viaggio. Che si sia rispecchiato nel piccolo animale terrorizzato e sofferente e abbia deciso, prendendosi cura di lui, di prendersi cura anche di sé? Non lo possiamo sapere, fatto sta che questo evento fortuito ha mosso dentro di lui un ingranaggio nuovo.
Nel caso di Vatanen, è l’investimento della lepre. Dal momento in cui l’uomo decide di inoltrarsi con l’animale nella foresta, decide anche di non fare più ritorno alla vita di prima. Inizia a vagare per il Paese, vive avventure divertenti, strambe o pericolose e la sua vita muta totalmente. Non sappiamo cosa sia avvenuto nella sua mente nell’istante in cui ha raccolto la lepre ferita e ha scelto di non risalire sull’auto del suo compagno di viaggio. Che si sia rispecchiato nel piccolo animale terrorizzato e sofferente e abbia deciso, prendendosi cura di lui, di prendersi cura anche di sé? Non lo possiamo sapere, fatto sta che questo evento fortuito ha mosso dentro di lui un ingranaggio nuovo.
Per Giovanna Gassion, la psichiatra – quasi psicanalista – protagonista
di “XY” di Sandro Veronesi, sono due gli eventi (che Carl Gustav Jung
definirebbe sincronici, non nel senso di contemporanei, ma in quanto esempi di
sincronicità) sconvolgenti e inspiegabili da un punto di vista razionale che la
coinvolgeranno facendo da cassa di risonanza a sconvolgimenti suoi propri,
intimi e profondi. Uno, illogico (la riapertura spontanea di una ferita
cicatrizzata da molti anni, in assenza di un trauma che potesse riaprirla) che rimarrebbe un episodio assurdo ma personale se non fosse contemporaneo all’altro
evento, che ancora non la riguarda direttamente, e cioè la morte di diverse
persone in un paesello sperduto delle montagne trentine in circostanze
assolutamente inverosimili e inaccettabili da una mente razionale. La
dottoressa Gassion deciderà di confinarsi nell’inospitale borgo montano per
cercare, con l’aiuto del parroco del luogo, di rimettere insieme i pezzi di
questa piccola comunità disgregata dalla tragedia.
Anche per Giovanna è crisi, amplificata da una crisi anche esterna e più collettiva, che coinvolge tutti gli abitanti del paesino.
<< Solo ventiquattr’ore fa ero nella mia casuccia a dibattermi nelle conseguenze di uno degli sbagli più stupidi che abbia mai commesso in vita mia, e mi sentivo frustrata, sporca, impotente, e la mia mente era un sovrameccanismo in avaria che girava attorno a un buco nero senza nessuna via di fuga – e ora, come se avessi trovato un cunicolo nello spaziotempo, sono altrove>>.
E’ crisi anche per don Ermete, il parroco del villaggio, che dice: <<già la crosta che ricopriva la mia vita cominciava a creparsi>>.
Né lei, né lui, né nessun altro coinvolto nella terribile vicenda, al termine della stessa, si ritroverà uguale a sé stesso e riprenderà la vita di prima. In mezzo, un lungo percorso, terribile in alcuni momenti, talmente bello da essere lirico in altri, doloroso, difficile, che scardinerà convinzioni, certezze, abitudini, legami.
Anche per Giovanna è crisi, amplificata da una crisi anche esterna e più collettiva, che coinvolge tutti gli abitanti del paesino.
<< Solo ventiquattr’ore fa ero nella mia casuccia a dibattermi nelle conseguenze di uno degli sbagli più stupidi che abbia mai commesso in vita mia, e mi sentivo frustrata, sporca, impotente, e la mia mente era un sovrameccanismo in avaria che girava attorno a un buco nero senza nessuna via di fuga – e ora, come se avessi trovato un cunicolo nello spaziotempo, sono altrove>>.
E’ crisi anche per don Ermete, il parroco del villaggio, che dice: <<già la crosta che ricopriva la mia vita cominciava a creparsi>>.
Né lei, né lui, né nessun altro coinvolto nella terribile vicenda, al termine della stessa, si ritroverà uguale a sé stesso e riprenderà la vita di prima. In mezzo, un lungo percorso, terribile in alcuni momenti, talmente bello da essere lirico in altri, doloroso, difficile, che scardinerà convinzioni, certezze, abitudini, legami.
Costantino V., Le cento città, da Chi è senza peccato non ha un cazzo da raccontare, MARCOSultra, Marcos y Marcos, Milano 2010
Kavafis K., Mura
Paasilinna A., L'anno della lepre, Iperborea, Milano 1994
Veronesi S., XY, Fandango Libri, Roma 2010
Kavafis K., Mura
Paasilinna A., L'anno della lepre, Iperborea, Milano 1994
Veronesi S., XY, Fandango Libri, Roma 2010