mercoledì 25 novembre 2015

La Crisi è una scelta, LA Scelta - parte 2

Relativity - M. C. Escher, 1953
 
 
 
Testualmente, dal vocabolario online Treccani:
 criṡi (ant. criṡe) s. f. [dal lat. crisis, gr. κρίσις «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia», der. di κρίνω «distinguere, giudicare»]. –
1. Nel linguaggio medico:
a. Repentina modificazione, in senso favorevole, o anche sfavorevole, di stati morbosi […]
b. Particolare stato morboso o fenomeno fisiologico […]
c. Esacerbazione o insorgenza improvvisa di fenomeni morbosi violenti e di durata relativamente breve […]
d. Per estens., nel linguaggio corrente, breve e violento accesso di uno stato emotivo, per lo più determinato da uno choc o da cause esterne: avere una c. di nervi  […]
2. Stato di forte perturbazione nella vita di un individuo o di un gruppo di individui, con effetti più o meno gravi: essere in c., attraversare un momento particolarmente difficile; mettere in c., in situazione di grave difficoltà; analogam., andare in c., entrare in c., superare una crisi. In partic.:
a. Con riferimento alla vita interiore, c. di coscienza o c. morale, turbamento psichico che insorge a causa dell’incapacità dell’individuo a risolvere certi problemi della sua vita, o per conflitti affettivi, o per l’azione dell’ambiente nel quale egli vive e opera: avere una c. di scoraggiamento, di sfiducia; le c. dell’adolescenza […]. Nel linguaggio corrente, attraversare una c. spirituale, religiosa, avere una c. di coscienza, essere agitato da problemi di natura spirituale o religiosa, oppure da passioni, da sentimenti contrastanti, […]
b. Nello sport, situazione di un atleta o di una squadra che subisce una serie di sconfitte consecutive […]
3.
a. Con riferimento a fenomeni economici, sociali e politici, […] stato più o meno permanente di disorganicità, di mancanza di uniformità e corrispondenza tra valori e modi di vita: la c. della società, la c. del sistema o di un sistema, la c. dei valori, la c. della civiltà, ecc.
In senso più concr., ogni situazione, più o meno transitoria, di malessere e di disagio, che in determinati istituti, aspetti o manifestazioni della vita sociale, sia sintomo o conseguenza del maturarsi di profondi mutamenti organici o strutturali: la c. delle istituzioni; la c. della famiglia, la c. della coppia, ecc.
b. Nel linguaggio economico, spec. nell’economia classica, il termine designa propriamente la fase del ciclo economico che è conseguenza del verificarsi di una situazione di sovrapproduzione generalizzata, le cui caratteristiche fondamentali sono il passaggio rapido dalla prosperità alla depressione […]
c. In senso politico, impossibilità di funzionamento di un organo dello stato, di un ente pubblico o altro, determinata da dimissioni, morte, contrasti interni, o da altre cause […]
 
Osservando il significato originario del termine “crisi”, si nota l’assenza del valore negativo che invece la parola ha assunto nel linguaggio comune moderno. È, anzi, proprio assente qualunque sfumatura sia in senso positivo che negativo: “crisi” indica in maniera neutra una scelta, una fase di decisione e di distinzione.
Già questo potrebbe bastare a farci ragionare su una cosa: siamo abituati a considerare un periodo di crisi solo ed esclusivamente come qualcosa di spiacevole. Una sfiga. Una seccatura, o peggio, una sofferenza inutile. La degna conclusione di un susseguirsi di “cose che sono andate male”, come se il tutto fosse capitato per colpa di qualcuno di non ben identificato.
“E’ colpa dello stress”.
“Sono gli altri che mi mandano fuori di testa”.
“Mi hanno incastrato in una vita che non volevo”.

Cominciamo magari a considerarla diversamente. No, non vi dirò di considerarla un’Opportunità, perché non ho nessuna voglia di venire insultata! Però consideriamola per quello che vuole dire: una scelta. Né positiva, né negativa, semplicemente una scelta. Un messaggio tutt’al più, da parte di qualcosa dentro di noi che ci vuole scuotere e che ci sta dicendo: “Ohi, la situazione è questa. Che si fa? Sta a te.”
La sofferenza rimane, eccome, ma poiché è una scelta, implica che sia chi la vive a decidere. C’è un bel margine di controllo, non c’è nessuna sfiga che si abbatte implacabile.
 
<<Era paura? Sì, tecnicamente era paura – l’Ignoto si era manifestato proprio in quel bosco, e io lo stavo attraversando -, ma alla fine era meno paura di quella che provavo ieri, di quella che provo tutti i giorni a casa mia. Era paura fresca, vitale, provata mentre facevo qualcosa di attivo e intenzionale – e questa paura non paralizza e non deprime come quella melmosa e febbricitante nella quale stagnavo fino a ieri, quando ero solo spettatrice, lontana, passiva, inebetita.>>

Sia Vatanen de “L’Anno della Lepre” che la dottoressa Gassion di “XY”, nella loro crisi, scelgono.
Il primo sceglie di inoltrarsi nel bosco con la lepre ferita invece di tornare alla sua vita ad Helsinki, la seconda sceglie di rintanarsi tra i monti a Borgo San Giuda per aiutare don Ermete a rimettere insieme i cocci di quella comunità traumatizzata, invece di restare al sicuro della sua tranquilla ma nevrotica vita.
 
<<E, di nuovo, la possibilità di scoprirmi inadeguata mi spaventa, certo, ma è una paura che non vedo l’ora di affrontare, perché non mi raggiunge nel mio tinellino dell’Ikea dal quale cercavo di tenerla fuori, non filtra da sotto le porte, non mi raggiunge attraverso la linea telefonica o la televisione: questa paura me la sono scelta, mi ci sono buttata a capofitto, è mia.>>
 
La scelta, allora, anche una sola e apparentemente banale scelta, se presa con consapevolezza e impegno (con sé stessi e con nessun altro) può innescare una serie di conseguenze inimmaginabili anche solo un attimo prima, che, cavalcate come un’onda, conducono piano piano al cambiamento.
Tutto questo può terrorizzare, certo. Molto più semplice e tranquillizzante rimanere nel proprio pantano: per quanto la situazione faccia schifo, almeno è conosciuta.
 
In queste buie stanze dove passo
giornate soffocanti, io brancolo
in cerca di finestre. Una se ne aprisse,
a mia consolazione. Ma non ci sono finestre
o sarò io che non le so trovare.
Meglio così, forse. Può darsi
che la luce mi porti altro tormento.
E poi chissà quante mai cose nuove ci rivelerebbero.
 
Constantino Kavafis
 
E allora ci inventiamo scuse, con noi stessi e con gli altri, più o meno consapevolmente. Rimandiamo le decisioni, banalizziamo e sminuiamo il nostro malessere, lo imbavagliamo cercando distrazioni e sballi, oppure lo usiamo come arma contro gli altri o ne facciamo un personaggio da esibire, indossiamo maschere e ce la raccontiamo.
E’ normale avere paura, è legittimo scegliere di rimanere nel pantano, ma se si vuole la Libertà c’è prima un viaggio da percorrere, in cui le scelte saranno molte.
 
<<Ho finalmente cambiato il personaggio nella storiella
quella del viandante e del contadino
gli unici personaggi previsti dal copione
o si è uno o si è l'altro
o si è il viandante che si perde nella campagna
o si è il contadino che zappa il campo
o si è il viandante che si avvicina al contadino e gli chiede per favore la strada per la stazione più vicina
o il contadino che continua a zappare e gentilmente gli risponde che non la sa
o si è il viandante che allora gli chiede la strada per la fermata degli autobus più vicina
o il contadino che continua a zappare e gentilmente gli risponde di non sapere nemmeno quello
o si è il viandante che sono sempre stata nella vita e che a quel punto dice al contadino scusi ma lei non sa proprio niente
o si è il contadino che poi è come mi sento adesso con questa forza immensa che sono finalmente riuscita a trovare
mentale ma anche fisica [...]
è bellissimo finalmente è Gesundheit finalmente è salute è terreno solcato da un carro solo [...]
e insomma o si è il viandante che sono sempre stata che accusa il contadino di non sapere niente
o si è il contadino che sarò da ora in poi e che gentilmente e continuando a zappare gli risponde
sì signore è vero signore io non so niente signore ma quello che si è perso è lei>>.
 
 
 
Kavafis C., Le finestre
 
Veronesi S., XY, Fandango Libri, Roma 2010