venerdì 11 dicembre 2015

Il cambiamento come viaggio - parte 2


"Always together" di Hossein Zare


Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantino Kavafis - Itaca
 

Mi rendo conto che sto dipingendo un quadretto allettante come un piatto di pastina sciapa quando si ha molta fame. Purtroppo corrisponde allo stato delle cose. Tuttavia, è un percorso necessario.
Anche Dante deve attraversare Inferno e Purgatorio per arrivare al Paradiso.
Anche Frodo deve attraversare Mordor per distruggere l’Anello.
Persino Harry Potter, nonostante sia un mago, non può semplicemente agitare la bacchetta magica ma deve combattere Voldemort.
Harold Fry vive molti momenti di sconforto, in cui per il dolore fisico, la pioggia, la fame, la paura o la sensazione di non avere nessuno a cui appoggiarsi, è convinto che fallirà e pensa di tornare a casa.
 
<<L’ultimo tratto fu il più duro. Harold non vedeva che la strada. Non aveva più pensieri. La ferita alla gamba destra si era infiammata di nuovo, costringendolo a zoppicare. Non trovava nessun piacere in quello che stava facendo: era in un luogo in cui il piacere non esisteva. Un nugolo di mosche gli circondava la testa. A volte si prendeva qualche morso. O qualche puntura. I campi erano immensi e vuoti, le auto venivano trascinate lungo le strade come giocattoli. Un’altra vetta. Un altro cielo. Un altro chilometro. Era tutto uguale, sempre. E lo annoiava e lo sfiniva al contempo, spingendolo a gettare la spugna. Spesso dimenticava dove stava andando.>>

Nessuno di loro era da solo: Dante aveva come guida Virgilio e poi Beatrice, Frodo viaggiava con la Compagnia dell’Anello e Gandalf, Harry Potter aveva i suoi amici maghi, gli insegnanti di Hogwarts e Silente.
Harold è circondato dal supporto di molte persone: della moglie Maureen e del vicino di casa Rex, che da lontano, seppur dapprima diffidenti e arrabbiati, lo aiutano più volte, e delle tante persone che incontra durante il cammino, ognuna delle quali contribuirà per un pezzetto al cambiamento di Harold e da lui e si lasceranno cambiare un po’ a loro volta.
 
<<[…] Harold fu pervaso da un senso di leggerezza che lo fece sorridere. Capì che il suo viaggio a piedi, quel camminare per espiare i propri errori, era anche un modo per accettare le stranezze degli altri. Essendo di passaggio, si trovava in un luogo dove tutto, non solo gli spazi, era aperto. La gente si sentiva libera di parlare, e lui era libero di ascoltare. Di portarsi via un po’ di loro.
[…] (Maureen) si era proposta una sfida: ogni giorno senza di lui, avrebbe fatto una cosa nuova. […] Si legò persino un foulard di seta attorno ai capelli, come ai vecchi tempi. >>

Intraprendere il viaggio da soli infatti è, se non impossibile, estremamente arduo.
Essere accompagnati è estremante utile, e il counselor fa questo. Per un percorso del genere, occorrono l’obiettività che si po’ ricavare solo avendo di fronte qualcuno che sa farci da specchio senza mettere in mezzo fantasie sue, servono la condivisione con qualcuno che non giudichi, ma che si limiti ad ascoltare e ad accettare. Serve un’alleanza con qualcuno che non ostacoli il cammino, neanche con buone intenzioni, un sostegno quando il terreno si fa accidentato, un complice che ci permetta di godere dei risultati e di restare consapevoli e centrati su quello che sta avvenendo. Serve qualcuno che non metta fretta, ma neppure che ci lasci crogiolare troppo nell’attesa, qualcuno che ci comprenda ma che non ci faccia indulgere in scuse per non proseguire. Qualcuno a cui dare temporaneamente in consegna il peggio di noi stessi mentre con umiltà ci mettiamo a passarlo in rassegna, ma che lo custodisca come un tesoro segreto.
 
“Sì ma che sbatti!” vi sento sbuffare.
Ni.
Per certi versi è vero, ma ad un certo punto ci si rende conto che si è preso gusto. Si sta meglio, i primi cambiamenti si fanno vedere, o anche no, ma “semplicemente” si sente nel profondo che si sta facendo la cosa giusta. Che finalmente cominciamo a sapere di più chi siamo, cosa cavolo vogliamo e cosa no nella nostra vita, e impariamo a cercare di ottenerlo. E’ come se ci venisse riconsegnata la nostra esistenza, che era già nostra, ma poiché prima era data per scontata, solo ora è davvero nostra.
Ne vale la pena?
 
Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,

e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero, che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola.
 
Derek Walcott - Amore Dopo Amore
 
 

Joyce R., L'Imprevedibile Viaggio di Harold Fry, Sperling&Kupfer, 2012

Kavafis C., Itaca

Walcott D., Mappa del Nuovo Mondo, Adelphi, Milano 1992
 
 

giovedì 3 dicembre 2015

Quando la Scelta dà inizio al cambiamento - parte 1


"Frustrado" di Hossein Zare, da http://hosseinzare.35photo.ru

Immaginiamo che la Crisi ci abbia travolti, con tutto il suo carico di sofferenze, disagi, malessere, inadeguatezze e sconvolgimenti della conosciuta “normalità”.
Immaginiamo però anche che si riesca a trasformare tutto ciò in una scelta: che si decida quindi di fare qualcosa, di rimboccarsi le maniche per uscirne. Che accada quel qualcosa, dentro o fuori di noi, che fa scattare un interruttore, che ci fa giungere al punto di non ritorno.

Nel romanzo “L’Imprevedibile Viaggio di Harold Fry” di Rachel Joyce, Harold è un uomo in pensione che vive con la moglie in un paesino del Dorset. Riceve una lettera da parte di una vecchia amica alla quale, nonostante non la veda da tantissimi anni, si sente molto legato dal ricordo affettuoso e, si scoprirà poi, da un grande debito. La donna, Queenie, è allo stadio terminale di un cancro e si trova in una casa di cura in un paesino ai confini con la Scozia. Harold è sconvolto dalla notizia, le scrive un biglietto in risposta ed esce per imbucarlo, ma qualcosa si accende dentro di lui e, invece di fermarsi all’ufficio postale continua a camminare. Sceglie: in breve decide che camminerà per circa 800 km, fino ad arrivare al capezzale di Queenie, convinto che questa folle impresa la salverà.
 
<<Harold non era il tipo da prendere decisioni improvvise. Lo sapeva. Da quando era in pensione, le giornate passavano e niente cambiava; […] raggiunta la buca delle lettere successiva più rapidamente di quanto avesse immaginato, si fermò di nuovo. Aveva dato il via a qualcosa, non sapeva che cosa, e ora che la stava facendo non era pronto a portarla a termine. La fronte cominciò a imperlarsi di sudore; il sangue gli pulsava per la trepidazione.>>
 
Inutile dire che non sarà così, ovviamente, ma il viaggio di Harold si trasforma in un pellegrinaggio, in un’avventura che prima ancora che concreta è psichica. Durante gli 800 km a piedi, Harold affronterà ricordi, dolori dimenticati, fatti irrisolti e paure, cambierà e costringerà a cambiare chi gli sta accanto e tutta la sua esistenza.

<<Harold sarebbe stato il primo a riconoscere che nel suo piano c’era qualche particolare da mettere a punto. Non aveva né scarpe da trekking né una bussola, per non parlare di una cartina o di un cambio di abiti. La parte meno programmata del viaggio, tuttavia, era il viaggio stesso. Non sapeva che avrebbe camminato finché non aveva iniziato a farlo.>>
 
Già perché indietro non si può tornare: deve essere chiaro fin da subito, non si ritorna più come prima. Si può solo o stare fermi nel pantano e nelle sabbie mobili del malessere, o andare avanti. Poiché la prima ipotesi è incompatibile con una vita che non sia un mero vegetare, se si vuole davvero vivere, non resta che andare avanti. Che si cerchi di fare da soli, che si chieda l’aiuto di qualcuno (una persona amica o un professionista), che si inizi andando un po’ a casaccio o si abbia già ben chiaro cosa fare, solo una cosa ci serve: il cambiamento. E si tornerà a funzionare, ma non come prima, ma in un modo nuovo, né migliore né peggiore, semplicemente diverso e più adeguato e funzionale a ciò che si è diventati.
 
Detto così suona molto semplice. Ma, poiché non si sta parlando di cambiare auto o casa, o taglio di capelli, o lavoro, o partner, ma si sta parlando del Cambiamento quello con la C maiuscola, è inutile prendervi in giro: non è per niente facile.
Non è semplice.
Non è veloce.
Non è lineare.
Non è spassoso.
E’ complesso (ma non inutilmente complicato!).
E’ lento.
E’ labirintico.
E’ emozionalmente variegato.
 
<<Il tallone gli pizzicava e la schiena gli doleva, e cominciava a bruciargli la pianta dei piedi. Anche il sassolino più piccolo gli procurava dolore; doveva fermarsi di continuo per togliersi la scarpa e svuotarla. Ogni tanto gli si piegavano le gambe senza ragione, facendolo inciampare. […] Eppure, nonostante tutto, si sentiva intensamente vivo.
[…]Lui era già diverso dall’uomo partito da Kingsbridge, e persino da quello ripartito dall’alberghetto. Non era l’uomo uscito di casa per andare a imbucare una lettera. Lui stava andando a piedi da Queenie Hennessy. Lui stava ricominciando da capo.>>
 
Parliamo di un Cambiamento interiore, che in seguito sicuramente si rifletterà all’esterno, ma che non può essere reale e duraturo se, appunto, non parte dalla nostra profondità.
Per essere tale, necessita di impegno, motivazione, tempo, pazienza, cura per sé e amore per il processo che si sta iniziando. Sarà un viaggio, un percorso, a volte labirintico, a volte più lineare. A volte si procederà più spediti, altre si avrà l’impressione di girare in tondo, a volte ci sentiremo i re del mondo tanto saremo euforici, altre ci sembrerà di essere i più sfigati della Terra tanto saremo depressi. A volte ci sentiremo in totale comunione con gli altri esseri viventi, in una specie di delirio mistico, altre ci sentiremo soli come l’ultima patella in balìa delle onde del mare.

Joyce R., L'Imprevedibile Viaggio di Harold Fry, Sperling&Kupfer, 2012